Alexander Lowen e l’Analisi Bioenergetica

“La bioenergetica è un modo di comprendere la personalità in termini dei suoi processi energetici.
Questi processi, cioè la produzione di energia attraverso la respirazione e il metabolismo, e la scarica di energia nel movimento, sono le funzioni basilari della vita.

La quantità di energia di cui si dispone e l’uso che se ne fa determinano il modo in cui si risponde alle situazioni della vita. Ovviamente, le si affronta con più efficacia se si dispone di più energia da tradurre liberamente nel movimento e nell’espressione (…).

Come tutti noi sappiamo, la mente e il corpo si possono influenzare reciprocamente (…). Questa interazione, tuttavia, è limitata agli aspetti consci o superficiali della personalità. A un livello più profondo, cioè a livello dell’inconscio, sia pensare che sentire sono condizionati da fattori energetici.” Lowen e Lowen, 1977

Tutto l’impianto teorico della Bioenergetica si fonda sul principio dell’identità funzionale fra psiche e soma, tra processi psicologici e fisici: Alexander Lowen, medico e psichiatra americano, raccogliendo la lezione del suo maestro Wilhelm Reich sviluppa un raffinato sistema interpretativo dell’evoluzione emotiva e psichica dell’essere umano e, contemporaneamente, una pratica psicoanalitica del tutto innovativa, che associa al lavoro verbale un particolare tipo di lavoro corporeo.

Lowen era infatti convinto che una reale ristrutturazione della personalità fosse possibile soltanto quando il cambiamento cognitivo si traduce a livello somatico, ovvero in un cambiamento del corpo (in termini di respirazione, atteggiamenti posturali, motilità e mobilità): salute emotiva è, in quest’ottica, sinonimo di vitalità, intesa come quantità adeguata di energia disponibile a sostenere l’esistenza in senso globale.

Ma cos’è che rende un individuo più o meno vitale o, per meglio dire, cosa impedisce il pieno utilizzo dell’energia nel senso di cui parliamo?

Secondo Lowen (anche qui sulla scorta delle elaborazioni di Reich) ciò che comunemente chiamiamo carattere è l’insieme dei meccanismi difensivi che l’individuo mette in atto, durante il suo sviluppo, per rispondere alle offese dell’ambiente; meccanismi che a livello somatico si sostanziano in tensioni e contrazioni muscolari croniche del tutto tipiche (che Reich chiamava “armatura” o “corazza caratteriale”), ovvero che possono essere ricondotte a una determinata tipologia di adattamento al trauma originario e che sono ancora operanti in età adulta in termini nevrotici ( per “trauma” qui si intendono genericamente le disfunzioni nel rapporto bambino/figure genitoriali, in termini di mancato riconoscimento e mancata risposta, o risposta inadeguata, da parte dei genitori ai bisogni fondamentali del bambino.)

Sulla base dello studio approfondito delle caratteristiche fisiche ed emotive dei suoi pazienti, Lowen distingue 5 caratteri fondamentali in relazione alla quantità di energia disponibile (parla infatti di caratteri a bassa o alta carica energetica) e ai fattori eziologici e storici che li hanno prodotti: schizoide, orale, psicopatico, masochista e rigido; successivamente descriverà anche il carattere narcisista, soprattutto come tratto trasversale ai precedenti.


Lowen parla di contrazione muscolare sulla base dell’osservazione fisiologica di quanto avviene nel corpo in relazione al dolore: quando proviamo un dolore fisico, l’organismo mette in atto una serie di meccanismi di tensione e irrigidimento dei muscoli e dei tessuti circostanti finalizzati a immobilizzare la zona coinvolta e ridurre la sensazione del dolore.

Lo stesso vale per i conflitti emotivi (per il già citato principio di identità funzionale psiche/soma); la procedura fondamentale attraverso cui si ottiene questa sorta di anestesia è il blocco della respirazione: è esperienza comune a tutti, per esempio, che quando ci facciamo male fisicamente oppure ci spaventiamo tratteniamo il respiro.

In condizioni normali, nel momento in cui il pericolo scompare la respirazione viene ripristinata, di conseguenza i muscoli contratti e irrigiditi si rilassano. Ma quando l’insulto è ripetuto, costante, l’organismo si riorganizza col fine di ridurre il dispendio energetico: escludere dalla coscienza la sensazione o il sentimento dolorosi diventa una maniera – l’unica possibile – per sopravvivere, date certe situazioni.
È così, per esempio, che l’impulso a piangere (se da bambini il nostro pianto è stato ignorato o represso dai genitori) si traduce in una contrazione cronica dei muscoli della mandibola, del collo e del diaframma, l’impulso a colpire rabbiosamente diventa spasmo costante dei muscoli della schiena e degli arti superiori, e via dicendo.


Il guaio è che un muscolo non funziona autonomamente e indipendentemente dagli altri, ma è collegato in via diretta o indiretta a un gruppo di altri muscoli e ossa e, per estensione, alla totalità del corpo (si parla, infatti, comunemente di “sistema muscolo-scheletrico”): ecco allora che il blocco percettivo e fisico di una parte influisce sul tutto, rompendo la fondamentale unità psicocorporea dell’individuo e traducendosi in sintomi tanto fisici (dolore cronico, infiammazioni articolari, fino ad arrivare alle vere e proprie malattie organiche) quanto emotivi e psicologici.


Già Reich aveva notato che le contrazioni muscolari croniche tendono a localizzarsi in determinate aree del corpo e creano delle “strozzature” che, bloccando la respirazione, bloccano il libero fluire dell’energia – e, di conseguenza, il corso delle emozioni e delle sensazioni organiche. L’armatura muscolare è dunque disposta nel corpo in segmenti trasversali rispetto al tronco (i 7 segmenti reichiani: oculare, orale, cervicale, toracico, diaframmatico, addominale e pelvico), che nei fatti impediscono il pieno funzionamento di quelle aree anche dal punto di vista dinamico.